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Canti Politici e Sociali del Cilento |
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La ricerca che qui si pubblica offre un contributo, credo, di grande interesse alle indagini che da tempo si vanno compiendo intorno alla «cultura» contadina del Sud, alla ricostruzione di una ".storia interna" del Mezzogiorno d'Italia.
Alcune precisazioni sono prima d' ogni altra cosa necessarie : che il materiale costituito da canti politici e sociali cilentani (raccolti con grande cura ed impegno dall'autore) non deve indurre a credere che questa sia una ricerca di etnomusicologia . Come si noterà, infatti, è stata appena ipotizzata la possibilità di procedere alla ricostruzione del testo musicale così , d'altra parte, è stata affrontata in misura appena sufficiente alla pura comprensione della lingua, la questione di una trascrizione «letteraria» del dialetto. Infatti l'interesse dell'autore, Giuseppe Stifano, si è rivolto non a fornire un avalutazione meramente «tecnica» dei canti, bensì a compiere un tentativo di interpretazione socio - antropologica della vicenda cilentana che appariva profondamente unitaria e fedelmente rappresentata nel suo sviluppo anche storico dei canti che dovevano formare l'oggetto della pubblicazione presente.
Voglio cioè dire che la forma corrotta in cui i canti si presentano non rappresenta una «svista metodologica» dell'autore, bensì un preciso e doveroso limite da rispettare, posto l'ambito nel quale era tenuto a muoversi (l'autore è un assistente sociale che in tale veste indaga e coglie aspetti fondamentali della coscienza sociale della sua gente), ed essendo dunque l'autore interessato essenzialmente allo «spaccato di società» che i canti man mano che venivano letti in relazione con l'atmosfera storica che li aveva generati, andavano esprimendo ai nostri occhi. Oltretutto l'isolamento ed il vuoto bibliografico in cui irrimediabilmente veniva a trovarsi la ricerca (non furono rintracciabili, a conoscenza dell'autore, lavori specifici sui canti del Cilento) costringevano Giuseppe Stifano a tener conto di precise difficoltà: non essendovi elementi di verifica cui confrontare la «lezione» dei canti, i quali, conservati dalia viva voce della gente cilentana sono stati ripetuti in forme sempre più approssimative, provocando nel testo profonde modificazioni, il tentativo di ristabilire una forma corretta dei canti, senza avere peraltro la possibilità di accedere a strumenti idonei professionalmente all'impresa, avrebbe potuto risultare arbitrario. Lo ripeto : è il lavoro non di un ricercatore «puro» (per il quale il discorso dovrebbe essere del tutto diverso), bensì di un assi stente vociale, di un operatore dunque, e come tale esso va guardato e valutato .. Di questa ricerca va tolta la profonda carica di partecipazione che l'ha guidata e che ne caratterizza lo stile, che ad alcuni, forse potrà sembrare talora approssimativo, ma che in realtà recupera l'affinità che lega l'autore alla gente cilentana. Lo stile, a volte convulso a volte scarno, sembra ripetere talvolta la collera stessa di quei canti dolenti, e questo può forse ricordare, quanto diceva Ernesto De Martino, allorché descrivendo in Note lucane la sua ricerca, scriveva: «La mia collera è proprio la stessa di quella di questi uomini che lottano per uscire dalle tenebre del quartiere rabatano, e la mia lotta e proprio la loro lotta».
Inutile voler ripercorrere la serie degli illustri antecedenti metodologici (le opere di Pitré, Croce, Gentile, ecc-) o indicare le più recenti ricerche intorno a temi analoghi da qualche anno oggetto di acute indagini. Né è questo il luogo per riprendere perlomeno qualche aspetto di un discorso di carattere metodologico, come pur sarebbe necessario per spiegare e giustificare l'ambito cui volutamente questa ricerca ha preferito limitarsi. Basti qui affermare che questi pochi canti e la linea interpretativa che Giuseppe Stifano documenta con i testi da lui scelti comprova, mi pare, quella tesi che, a proposito del Mezzogiorno d'Italia, parla dì una guerra contadina mai esplosa o esplosa solo occasionalmente. I canti qui raccolti documentano l'evoluzione subita lungo due secoli dai sentimento politico - sociale e dallo spirito del popolo cilentano. Essi testimoniano un cammino doloroso lungo la storia dimenticata di queste terre: dai canti più antichi, nei quali domina un senso tragico dei destino avverso, negativo, cui bisogna arrendersi e chinare il capo e nei quali pur fa capolino il segno incerto di quella guerra contadina, il richiamo soffocato alla rivolta, attraverso i canti del primo Ottocento, in cui la durezza delle condizioni dell'esistenza vengono finalmente imputate non più alla «mala sorte», ma a ben identificati oppressori (e qui si intrecciano motivi riguardanti una sorta di «storia minore» dei Risorgimento), ai canti più recenti, posteriori all'unificazione italiana, nei quali si ritrovano più filoni di estremo interesse : l'unità come rivoluzione sociale mancata provoca il fenomeno del brigantaggio e la sua esaltazione romantica (col tema dei brigante interprete della «collera dei poveri» trovano conferma note tesi sul banditismo sociale), l'utopia del riscatto sociale nell'individuazione di una terra promessa, nella quale accenni di tipo millenaristico, già avvertibili sommessamente nei canti precedenti, si fondono con il doloroso fardello di ultima speranza dell'emigrazìone, l'ultima promessa non realizzata.
Non a caso la ricerca di Giuseppe Stifano si conclude così, senza concludersi : una storia non conclusa, appunto, un calvario che continua, una guerra contadina che forse vorrebbe esplodere, una struttura «culturale» aperta che vuole ancora forse un canto, forse altro, comunque qualcosa che testimoni che la vicenda del popolo cilentano è ia stessa di sempre, anche se in forme nuove e diverse, fatta di rassegnazione e di rabbia, di sconfitta e di rivolta, di promesse non mantenute
Questo è il senso di quanto dicevo allorché affermavo che questa non è una «ricerca pura», ma soprattutto la testimonianza della partecipazione di Giuseppe Stifano ai sentimenti e alle inquietudini della sua gente, che sono di oggi come di ieri, il suo volersi rendere conto, per il suo stesso lavoro di assistente sociale, di una realtà che e la sua e sulla quale è necessario intervenire, ma senza violenze con la consapevolezza di essersi saputo avvicinare con umiltà alla «storia interna, minore, più vera» della gente cilentana. Se pure l'autore avesse voluto per modestia, imporsi tutti i limiti possibili, già basterebbe questo per fare del lavoro di Giuseppe Stifano un'opera generosa ed utile.
Giuseppe Acocella
Docente di storia delle dottrine politiche e sociali presso la facoltà di Sociologia dell'Università di Napoli |
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