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Siano nel mondo |
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Emigrare: nuove esperienze, il lavoro, il soddisfacimento del bisogno, un calcio alla miseria; un'altra realtà, altro mondo, altra gente: il sogno e la speranza di lasciare nella propria terra, lontano dai propri affetti, i problemi quotidiani di un'amara esistenza. Il tutto alla ricerca di un senso nuovo della vita, di opportunità di realizzarsi, svestendo i panni del povero derelitto per rivestire quelli di protagonista, del "faber fortunae suae". Ad una voglia matta di lasciarsi tutto alle spalle si alterna lo strazio del distacco.
Emigrare è anche lasciare forse per sempre, o chissà per quanto, le cose, gli affetti, la gente del proprio piccolo mondo per recarsi altrove a rischiare di andare incontro a probabili insuccessi, di presentarsi indifesi e impreparati ad affrontare problemi imprevisti, di esporsi ad un inevitabile sfruttamento, allo scherno, al disprezzo altrui, a crearsi a fatica le condizioni per sopravvivere a tutto questo.
Il tutto mentre la mente è tormentata dal ricordo della famiglia lontana, dalla preoccupazione per la salute e la crescita dei figli senza l'assidua e costante presenza paterna, dal rimpianto di non averli seguiti e assistiti quando maggiormente ne avevano bisogno.
Per fare che cosa? Forse per ritrovarsi, a conclusione dell'avventura all'estero, ormai anziano e probabilmente malato, senza le tanto promesse ricchezze, all'interno di una famiglia che ti guarda quasi come un estraneo.
Ma il dramma dell'emigrazione può essere capito a fondo solo se si considerano non solo le misere condizioni da cui fugge l'emigrante, ma l'ambiente spesso ostile che egli trova nel nostro stesso continente o in altra parte del globo, dove la comunità ospitante altri non aspetta se non merce umana da sfruttare per il proprio benessere e lo sviluppo della propria economia, a scapito di una massa sbandata di gente che quotidianamente subisce ogni sorta di mortificazione e con spietata insensibilità viene sottoposta ai lavori più duri e più umili: tutto in dispregio della dignità della persona umana. Che importa che dormono nelle stazioni ferroviarie, sotto i ponti, nei baracconi dei vergognosi ghetti edilizi e sociali? Quando non servono più vengono cinicamente rimandati ai loro paesi d'origine.
Sono tutti vittime di una società che non li vede protagonisti, non assicurando loro un'esistenza dignitosa; sono decine e decine di milioni di lavoratori, quasi tutti del Sud, che varcano i confini della patria inseguendo un sogno. È dai loro ricordi struggenti, dalle loro denunzie amare, dal loro appassionato racconto che emerge la crudeltà di un destino. Il destino di una massa di esuli, separata dalle proprie radici, incerta della propria stessa esistenza, alienata da sé e da tutto ciò che le appartiene, condannata all'estraneità, all'angoscia, alla solitudine. |
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