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Cultura popolare a Napoli e in Campania nel novecento |
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Gli stereotipi sono irritanti. Lo sono per chi li usa: nessuno vuole ammettere di ragionare per stereotipi e tanto meno vuole che glielo si dica. A maggior ragione per chi ne è oggetto, gli stereotipi sono irritanti: anche se il contenuto non è negativo, nessuno è contento di vedersi ridotto ad una o due caratteristiche della propria identità e fissato per sempre ad esse.
È comprensibile dunque l'irritazione con la quale i napoletani reagiscono agli stereotipi che li riguardano: e hanno occasioni frequenti di reagire, posto che Napoli è senza dubbio la città d'Italia sulla quale più numerosi si sono prodotti e si producono stereotipi. Spesso in contraddizione fra loro e con quelli già consolidati, che non scompaiono sostituiti dai nuovi, ma persistono. Tutti insieme e ad onta delle contraddizioni, confluiscono nell'idea di quella "qualità" (immaginata) che ontologicamente dovrebbe permeare di sé tutti i partenopei: la napoletanità.Tanto è forte e diffusa questa idea della napoletanità, che nell'immaginario collettivo nazionale e anche internazionale essa riassume e annulla in sé tutta la Regione, sicché salernitani, casertani, avellinesi e quanti altri finiscono riassorbiti e scoloriti nella categoria dei "napoletani", magari di serie B. Ovviamente, non senza irritazione anche da parte loro. La napoletanità, come somma e sintesi degli stereotipi correnti su Napoli, sui napoletani e sull'intera Regione è l'oggetto di questa mia riflessione e dei contributi che costituiscono questa sezione di Napoli e la Campania nel Novecento. Diario di un secolo.
Sono tre le ragioni che ci hanno suggerito di inquadrare i contributi sulla cultura popolare a Napoli e in Campania nell'ultimo secolo all'interno di una riflessione sugli stereotipi che riguardano la città. |
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