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Casa Editrice: Autore/i (a cura di):
Edizioni Cilento Domani (centro culturale)   Anna Maria Torre

Cilento per l'Europa



La mia personale scoperta del Cilento risale agli anni Cinquanta. Dopo un soggiorno pasquale sulla costiera amalfitana e una puntata a Paestum - programmata da mio padre per assecondare la mia precoce vocazione di architetto - decidemmo di andare verso la Calabria e ci avventurammo lungo un percorso automobilistico tanto arduo, allora, quanto imprevedibile e affascinante. Era un'Italia, quella che scoprimmo attraversando tutto il Cilento, rimasta indenne da ogni vantaggio del cosiddetto `progresso" ma anche miracolosamente sottratta ai suoi numerosi svantaggi che avemmo modo di scoprire, centellinandoli, nei decenni successivi. Il ritmo di vita degli abitanti non era granché cambiato da secoli e la "misura naturale" quella che scandisce la notte e il giorno, le diverse stagioni e attraverso le fasi lunari i tempi della semina e del raccolto e che tiene uniti i membri delle piccole comunità come gli ospiti di una barca di fronte alla forza e alla solitudine del mare, era una misura nettamente percepibile, era anzi la chiave di comportamenti, di sorrisi, di timori, di ritrosie, di condiscendenze verso gli ospiti che ci colpirono come il segno di una identità preziosa. Ricordo una lunga sosta a Camerota nella bottega del vasaio che approntava vasi dalla forma arcaica destinata a conservare l'acqua che in molte case non fluiva, assicurata da un previdente acquedotto, attraverso tubi e rubinetti ma era ancora oggetto di quotidiana conquista e di trasporto all'aria aperta da parte di donne che l'abitudine a portare sulla testa pesi cospiqui, aveva rese, nel portamento, straordinariamente armoniose e "direi" ieratiche, se non addirittura regali. Colpiva allora nel Cilento, oltre a questa presenza di una civiltà contadina ancora vissuta nei suoi ritmi e nei suoi valori un filone di gaiezza e filosofica serenità e, nell'ambiente di molti centri, una eleganza urbana che faceva supporre rapporti intensi, trascorsi o ancora vivi con una grande città come Napoli, ancora in possesso di un suo proprio "stile di vita". Di quanto allora incontrai nel fortunoso viaggio compiuto da Paestum a Sapri molte cose sono scomparse e in particolare la più preziosa: quel senso di equilibrio e di armonia tra l'uomo e l'ambiente; ma gran parte del paesaggio e delle architetture che caratterizzano i luoghi sono ancora li e parlano lo stesso linguaggio anche se gli uomini sono cambiati e aldilà dell'equilibrio perduto essa cercano nuovi equilibri da conquistare, venendo a patti con il mondo del progresso e dello sviluppo ormai diventato così aggressivo e penetrante da rendere vano ogni tentativo di metterlo tra parentesi. Dicevo del paesaggio: quella straordinaria distesa di monti e colline che da tanti punti di osservazione appare come una serie di profili posti in successione, uno dietro V altro, sempre più frastagliati e sempre più evanescenti fino a che un chiarore diffuso non ne interrompe il degradare che sembrava infinito. Quel chiarore diffuso e il mare e nel Cilento il mare e sempre presente, nella memoria quando non nella vista, punto di riferimento e accompagnamento continuo al quale si sovrappongono i motivi musicali degli scenari naturali, di quelli costruiti dall'uomo e della vita quotidiana con i suoi riti e le sue infinite ripetizioni. Il paesaggio del Cilento non ha l'aggressiva romantica bellezza di certi tratti della costa italiana non per niente consacrati al turismo internazionale nel secolo scorso, ha invece una bellezza classica, arcadica direi, e una architettura solenne e in certa misura simmetrica dominato come e dal massiccio del monte Stella, che proprio come una stella di stucco barocca e diviso dalle valli che si dipartono dalla vetta in tanti contrafforti radiali. La linea di demarcazione tra la terra e il mare, dove qua e là affiora ora la roccia, si mantiene di solito morbida e sinusoidale e, nellaccostamento del verde e dell'azzur-ro, presenta armonie e dissonanze continuamente variate colmunanti nei numerosi promontori che costituiscono quasi una prerogativa della costa Cilentana. Altrettanta attenzione merita l'architettura del Cilento; non solo quella nobile che da Paestum a Velia testimonia la presenza della civiltà greca al più alto livello; ma quella cosiddetta "minore" che meglio sarebbe definire "collettiva"perché non aspira a un valore autonomo da `protagonista" ma canta "in coro": esprime cioè il suo valore come parte di un "tutto" che può essere la compagine unitaria degli insediamenti o anche il rapporto di un singolo edificio con il paesaggio sempre rispondente a una regola mai scritta ma rigorosamente rispettata. Voglio dire che in un Cilento esiste quello che io chiamo il "linguaggio dei luoghi'; qualcosa che può paragonarsi al dialetto che consente di primo acchitto, ascoltando anche poche parole, di individuare con certezza una regione di appartenenza e in qualche caso anche un insediamento determinato e financo un suo quartiere. In che chiaramente consista questo linguaggio e cosa che può essere anche descritta con esempi e considerazioni tipologiche ma che bisogna anzitutto "sentire"; partecipando alla individuazione oltre che con la mente e la ragione con l'intuizione e il sentimento. Ricerchi dunque il viaggiatore che voglia scoprire oggi il Cilento quelle parole architettoniche e quelle espressioni tipiche che rendono identificabile questo linguaggio, impari a riconoscere gli intonaci rosa bordati di bianco e di grigio, le case cubiche costruite sui grandi basamenti ad archi che consentono di usufruire di grandi spazi aperti intorno alle stanze della casa, ricerchi nella ricorrenza delle torri colombario, riconosca nelle garitte, che arricchiscono gli spigoli di tanti casali palazzi e piccole fortezze, il bisogno della difesa dalle scorrerie del tempo in cui si cantava: "li turchi sò arrivati alla marina'; e negli esempi più recenti di questi sporti angolari colga la sopravvivenza di una forma alla obsolescenza della sua funzione e quindi il suo uso simbolico riferibile a una difesa ideale piuttosto che letterale. Il libro che presentiamo ha il raro merito di aver prelevato dal grande patrimonio del paesaggio e della architettura cilentana una serie di immagini di grande eleganza che nel loro insieme costituiscono la migliore introduzione e il migliore invito ad intraprendere un viaggio attraverso il Cilento. Da un tale viaggio non si può ritornare che arricchiti e stimolati a contribuire, ognuno con i suoi mezzi, al raggiungimento di «un tale equilibrio" che non può nascere, oggi, se non attraverso l'adempimento di un dovere, quello di rispettare e preservare ciò che ci proviene dal passato ed e testimonianza di quell'affascinante equilibrio perduto di cui ho scritto ricordando un viaggio lontano nel tempo; ma ancora vicino e fragrante, nella memoria, di immagini di voci, di odori e sapori indimenticabili, subito riemergenti, appena l'osservazione di una fotografia o l'ascolto della parlata locale, o un vasetto di peperoncini messi sott'olio faccia da catalizzatore a quella speciale reazione chimica che e appunto la "ricerca del tempo perduto". Paolo Portoghesi Presidente Biennale i Venezia

Codice: ECD001
208 Pagine - anno: 1990


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