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Civiltà del Mezzogiorno d'Italia - Libro scrittura documento in età Normanno-Sveva |
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La Società Napoletana di Storia Patria è particolarmente lieta di ospitare il convegno su «libro, scrittura e documento in età normanno-sveva».
Lo è per almeno due buoni motivi.
Lo è, innanzitutto, perché il convegno nasce dall'iniziativa associata dei Dipartimenti di Filologia Classica e di Discipline Storiche dell'Università di Napoli; e, dunque, associa storici e antichisti (e, fra questi, in particolare
i filologi classici) in una cooperazione che purtroppo è alquanto infrequente. La filologia classica è, come si sa, una disciplina o, meglio, è il centro di gravitazione di una serie di discipline, il cui rapporto con la storia del Mezzogiorno non è meno stretto che con la storia di altri paesi mediterranei. E dalla tradizione antica, greca e latina, che il mondo mediterraneo ha derivato l'avvio fondamentale del lungo cammino di civiltà, che lo ha portato all'età moderna. Senza la possibilità di rileggere, definire e capire meglio i testi di quella tradizione mancherebbe anche un supporto fondamentale dell'anamnesi storica mediterranea. E si dice qui mediterranea, ma è chiaro che il Mediterraneo più che mai è, in questo senso e in questo caso, un prologo e un inizio di quel che abbiamo inteso e intendiamo per Europa e per Occidente. Alla mediterraneità del Mezzogiorno d'Italia è, poi, addiritura superfluo riferirsi, tanto è evidente e, per così dire, totale.
È lieta, in secondo luogo, la Società Napoletana di Storia Patria di ospitare questo convegno perché, con scelta quanto mai opportuna, esso è dedicato al periodo normanno: ossia, a un periodo che per il Mezzogiorno d'Italia è stato di trasformazione epocale. Non si ebbe, infatti, allora soltanto una unificazione politica di territori e di genti che, pur nella comune cornice mediterranea, avevano fino ad allora vissuto in ambiti di civiltà alquanto diversi fra loro, da quello musulmano a quello bizantino e a quello latino. Si ebbe anche l'inizio di un processo di acculturazione, che di lì a qualche secolo avrebbe consegnato alla storia della civiltà europea, tra l'altro, tutto ciò (e davvero non è poco) che intendiamo per «cultura meridionale».
Di questo processo il periodo normanno rappresenta solo il primo tempo. Di conseguenza, si tratta anche di un periodo in cui le note della varietà e della diversità prevalgono di gran lunga su quelle dell'assimilazione e dell'integrazione che allora si avviano. Puntualizzare e definire varietà e diversità
dei varii ambiti culturali che confluiscono nella nascente unità meridionale diventa, quindi, un punto essenziale per la ricostruzione e la comprensione non solo del primo tempo dell'unità meridionale, bensì di tutta la posteriore vicenda di tale unità. Di quest'ultima, infatti, solo così si potrà cogliere, con la complessità genetica, anche la poi perdurante ricchezza di elementi e di motivi.
Non tutto - com'è ovvio -poteva riuscire duraturo ed egualmente robusto nella pur grande formazione civile, a cui nel Mezzogiorno d'Italia diedero luogo l'ammirevole forza militare e l'abilità e la intelligenza politica dei mercenari e degli avventurieri normanni. In particolare, non avrebbe retto l'unità siculo-continentale dell'originario Regnum Siciliae e ne sarebbero nati due ambiti, quello siciliano e quello napoletano, che avrebbero formato due mondi a sé, assai prima che nell'unità normanna e poi sveva e, inizialmente, angioina riuscissero a maturare fra loro una effettiva solidarietà di fisionomia anche culturale. La storiografia più recente ha, perciò, sottolineato sempre più il complesso di ragioni per cui non si può credere che il divorzio fra Sicilia e Continente fosse estemporaneamente e traumaticamente provocato dal pur grande avvenimento dei Vespri. È emerso sempre meglio che quel divorzio fu il punto di arrivo fatale di un processo di differenziazione praticamente parallelo a quello del processo unitario vissuto ad opera dei Normanni, senza che ciò annullasse, peraltro, una affinità e solidarietà di vicende e di atteggiamenti che fra le due parti del Mezzogiorno in qualche misura sussisteva già nell'epoca pre-normanna e, soprattutto, si determinò in seguito, sia per l'esperienza vissuta nei due secoli dell'unità normanno-sveva, sia per l'ampia misura (più ampia di quanto di solito non si supponga o si dica) in cui e Sicilia e Italia Meridionale parteciparono alle vicende e agli sviluppi della civiltà italiana ed europea, alla quale con i Normanni erano state stabilmente agganciate. Ed è appena il caso di notare che tanto per la differenziazione quanto per l'affinità e la solidarietà il rilievo dell'elemento culturale e documentario è di - prim'ordine.
Perciò un convegno dedicato a «libro, scrittura e documento in età normanno-sveva » è un convegno che si può definire tecnico solo in via di approssimazione. Oltre tutto, nella parte sveva del periodo considerato i problemi a cui abbiamo così sommariamente e superficialmente accennato conoscono sviluppi e momenti a loro volta di grande rilievo rispetto al periodo più strettamente normanno. Né mi riferisco solo a elementi notori e primari, ma non per ciò scontati, come la Magna Curia fridericiana o come l'allora nata Università di Napoli. Mi riferisco, anzi soprattutto alla pluralità degli ambienti geografici (provinciali) e sociali (aristocrazie, clero, «borghesie»), fra i quali - e al di sopra, anche, dei quali - la grande vicenda del periodo fridericiano si svolge.
L'articolazione programmatica del convegno promette molto sotto tutti questi aspetti. È, infatti, attenta a molti dei singoli ambiti provinciali e sociali
che furono teatro delle vicende più rappresentative, anche culturali, del periodo normanno-svevo. È, inoltre, equilibrata nel portare un'attenzione più specificamente tecnica - paleografica e diplomatica - su singoli documenti e problemi di quell'epoca e un'attenzione più generalmente storica su aspetti giuridici, politici, sociali del Mezzogiorno di allora. Il convegno parte, infine, dal criterio di mettere in stretta connessione scrittura e civiltà: parte, cioè, dal presupposto più fecondo che la metodologia storica e filologica più consapevole abbia conquistato nella definizione delle proprie prospettive di studio e di ricerca.
Non c'è da dubitare che i risultati del convegno nazionale dell'Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti corrisponderanno alla ricchezza e alla validità delle premesse. Esprimo, perciò, all'Associazione i più vivi complimenti e ai partecipanti il più fervido augurio di buon lavoro da parte della Società Napoletana di Storia Patria e mia personale.
GIUSEPPE GALASSO |
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